A Stoccarda, all’Accademia delle Arti Figurative, in una calda giornata estiva del 1947 un teologo, non senza esitazioni, s’interrogava sulla valenza storico-metafisica dell’opera d’arte. Ne seguì poi, edito Morcelliana, un volumetto tradotto da Francesco Tomasoni, a presentazione del saggio sui lineamenti dell’estetica di Romano Guardini, presbitero, teologo e scrittore italiano naturalizzato tedesco (17.2.1885-1.10.1968).

LA QUESTIONE
La questione, dice Guardini, riguardo la realtà dell’opera d’arte, si ripropone di continuo:
“Ci si domanda infatti cosa sia questa strana entità così irreale e tuttavia così efficace, così avulsa dall’esistenza consueta eppure così profondamente compenetrata nell’intimo, così superflua secondo tutti i criteri pratici e nondimeno così indispensabile per chi l’abbia vista una volta entrare nella sua vita.”
È da questa domanda che si diramano argomentazioni e riflessioni.
Il libretto raccoglie, oltre alla sopra esposta chiarificazione circa la questione d’interesse, altri sette brevi capitoli.



INCONTRO E COSTITUZIONE DELLA FORMA
È quel particolare “sentirsi toccato” che spinge il desiderio artistico a rivelare l’essenza attraverso la forma. Si esprime così quell’intimo stato di ricettività e attività che nell’ammirato stupore permette di ricreare nuovamente l’oggetto, senza metterlo al servizio di uno scopo pratico.
In che modo l’artista riproduce e ricrea? Con una rivelazione di similitudine, attraverso i materiali scelti, l’artista trionfa sulla natura diventandone nuovo creatore. Questa creatività non solo è subordinata ai materiali e alla visione dell’epoca, ma anche, maggiormente, al compito di servire l’esistenza.
Nelle forme di ogni realtà materiale l’artista vede l’essenza ed è l’essenza che egli cerca di rivelare ancor più pienamente.
Nel cogliere l’essenza della cosa, coglie anche se stesso. Tutto questo processo avviene immediatamente, vivendo, e non in maniera astratta, poiché è quando si riconosce l’essenza che da essa si viene risvegliati.
Ci deve essere un reale incontro per percepire la caratteristica peculiare: è allora che “subito, come un’eco vivente, qualcosa risponde in noi stessi, si ridesta, s’innalza, si sviluppa.”
È quest’incontro che permette la risposta all’altro, capace di far ritornare a se stessi.
Questo non è un auto-rispecchiamento, non si tratta di soggettivismo, si tratta, piuttosto, di un risvegliarsi del nucleo, sia della cosa, sia di noi stessi: qui è in gioco
“ciò che costituisce l’uomo in questione, a partire dalla sua creazione e dalla sua chiamata, quindi anche ciò che deve diventare nel cammino dell’attuazione di se stesso. Sia l’essenza della cosa, sia quella dell’artista stesso confluiscono in un’unità vitale e si protendono verso l’espressione. L’autopercezione dell’artista si fonde col modo in cui vede la cosa (…)”.
Molteplici sono gli interessi e i processi che gli artisti elaborano nelle diverse epoche e in relazione alle personalità individuali, è così che si manifesta un costante intreccio tra “la storia dell’opera d’arte e la storia che lo stesso artista sperimenta nel suo creare”.
Ognuno ha il suo modo peculiare, così come ognuno vede attraverso uno sguardo suo proprio fatto di esperienze e capacità di cogliere, in sé, l’oggetto guardato.

LE IMMAGINI
Ci vogliono occhi che possano e vogliano vedere per scorgere la forma dell’opera d’arte, ma ci sono altri elementi ancor più nascosti; si tratta delle immagini, meglio definibili come “elementi primi del mondo immaginario”, “immagini elementari”.
Ad esempio un filo: può essere esaminato da molti punti di vista diversi, ma la sua profonda essenziale forma si esprime in modo ancora più chiaro quando si parla di “filo della vita”.
Con questa immagine, che rievoca il mito delle Norne, le donne fatali che dipanano, srotolano e infine tagliano il filo che rappresenta la vita di ognuno, viene spiegata l’esistenza, pur facendola restare in un limbo denso di significato.
Non si tratta di concetti scientifici, ma di un sentimento vivo immediato che può essere colto da chiunque rimanga ricettivo, come un filo, un mezzo, che permette di disporsi “spiritualmente, in direzione del senso e della linea di orientamento”.
Questa immagine è antecedente al mito, lo è in quanto elemento originario dell’esistenza; è per questo che i miti e le credenze possono anche morire, ma l’immagine di fondo, essenziale, resta “indistruttibile e indispensabile per la comprensione della propria esistenza”.
Sono molte le immagini essenziali, come, ad esempio, quella della linea orizzontale, dell’orizzonte; l’immagine dell’emisfero, della volta celeste; o, ancora, l’immagine della via.
“L’ambito al quale rimandano e da cui sorgono inizialmente le immagini sembra essere quello della visione; la sua prima forma, l’oracolo; la sua prima cornice, il culto e il mito.
La forza della visione scompare poi progressivamente e al suo posto subentra la fantasia religiosa. L’oracolo si stempera nell’insegnamento di vita e nel proverbio. Il culto perde la sua potenza obiettiva e diventa edificazione. Il mito si dissolve e passa nella leggenda, nella fiaba e nel costume popolare.
L’immagine però, in quanto forma di una saggezza che parla per se stessa, rimane, anche se svalutata dalla mentalità razionalistica.”
Tutta l’esistenza umana è influenzata dalle immagini, ma nella realtà moderna vi è poca consapevolezza di questo processo.
È solamente quando tocchiamo con sentimento un momento particolarmente significativo che possiamo scorgere una rivelazione profonda, come quando ci scambiamo gli anelli di fedeltà, che non perdono il loro senso più ovvio e, nel contempo, vengono rivestiti di un significato intenso e immediato.
Nei giochi dei bambini e nei rituali liturgici restano tracce vive delle immagini ed esse “contribuiscono a creare quell’effetto di purificazione, di riscatto, di illuminazione che promana dalla liturgia.”
L’artista si trova dunque in uno stato simile a quello del fanciullo e del veggente: non sono intelletto critico e volontà a muoverlo,
“bensì in lui la vita è vibrante e insieme rilassata, vigile e insieme permeabile, aperta verso l’oggetto esterno e insieme verso il proprio intimo in quella peculiare vigilanza che circonda il processo creativo senza fargli violenza. In questo stato possono emergere anche le immagini, non consapevolmente escogitate e volute, ma intrecciate in ciò che appunto sta prendendo forma.”
Quando ammiriamo un’opera d’arte, le immagini che possono essere evocate, che, come quella del filo della vita, portano in sé ulteriori, immensi, mondi profondi esistenziali, non sono presenti alla nostra coscienza, ma vengono direttamente percepite da profondità che ci appartengono facendo vibrare corde sonore che ne riflettono il senso e il significato. È un dialogo che avviene al di là della nostra capacità cosciente.
“Perfino elementi puramente formali come per esempio il cerchio quale forma compositiva di un quadro o il ritorno ritmico come articolazione di un canto, implicano in sé quelle forme originarie dalle quali deriva buona parte di quel potere che le opere in questione esercitano sul nostro animo”.


LA TOTALITÀ DELL’ESISTENZA
Un’autentica opera d’arte è una totalità. Si attua cioè un “processo per il quale i fenomeni si concentrano in un’unità densa di vita”.
Attraverso l’opera d’arte diventa percepibile la totalità dell’esistenza. È una totalità che sollecita nell’osservatore, che è pur sempre “una relazione d’un frammento a un altro frammento”, una risposta.
Nei confronti dell’opera l’essenziale è in relazione al come, e non al che cosa. L’opera d’arte, indipendentemente da quale medium utilizzi per manifestarsi, rende percepibile una totalità che nell’esperienza non viviamo, permette di far risuonare la totalità dell’esistenza.

SCOPO E SENSO
L’opera d’arte è “una forma che rivela. Non mira a nulla, ma significa; non vuole nulla, ma è”.
L’arte applicata ha una sua collocazione, naturalmente, ma l’esigenza dell’opera d’arte resta quella di “avere sì un senso, ma non uno scopo”. L’opera è creata per essere e per rivelare: propriamente in questo riveste un carattere particolare rispetto a ogni altra cosa.
Essendo un incontro tra ciò che l’uomo ha rielaborato e il mondo, l’opera d’arte diventa essa stessa un mondo, ossia uno spazio pieno di significati che è costruito e creato in maniera diversa rispetto all’esperienza di realtà ordinaria.
È come se l’opera d’arte portasse alla luce una realtà nascosta che siamo soliti vivere, senza poterne percepire l’autentica essenza, anche nelle relazioni con l’altro, quando ci muoviamo nel regno della materia.
L’autentico rapporto con l’opera d’arte consiste nel mettersi in ascolto, silenziosamente, cercando di rivivere quello che l’autore ha espresso: è così che si possono percepire le aperture a nuovi mondi tramite l’arte.
Il rapporto con l’arte non è dato, dunque, dalla conoscenza delle tecniche, degli stili e degli autori, né da una debole percezione di bellezza: quando ci avviciniamo realmente all’opera d’arte avviene qualcosa dentro di noi, poiché si accede a una nuova condizione, allentando la chiusura al mondo che prima veniva costantemente vissuta.
La percezione è immediata e non filtrata dalla logica razionale della spiegazione, la sensazione è quella di poter essere, parimenti all’opera contemplata, puri, colmi di significato, autentici.

L’ESIGENZA ETICA E LA BELLEZZA
Ogni opera d’arte autentica ha un suo significato etico in quanto “essa muove in modo del tutto particolare l’animo dello spettatore, lo purifica, lo riordina e lo illumina”.
Il processo della katharsis, così come espressa da Aristotele in relazione al dramma, può essere applicato a ogni creazione artistica autentica, fatte le debite differenze: non si tratta primariamente del contenuto che l’opera veicola, poiché questo, se già eticamente incisivo, verrebbe solamente amplificato.
Avviene, piuttosto, una trasformazione interiore sostanziale.
“L’uomo è tutto proteso a divenire quell’immagine che gli è assegnata come compito dalle sue capacità e disposizioni.
Se ora s’imbatte in un’opera che ha raggiunto maturità e chiarezza, allora questa influisce sulla sua disponibilità interiore al mutamento, conferma la sua volontà di trasformazione e le promette compimento.
Ne ricava dunque quella peculiare fiducia che l’autentica opera d’arte comunica a chi è sensibile e che non ha nulla a che vedere con l’ammaestramento e incitamento teorico. Si tratta del sentimento immediato di poter ricominciare e della volontà di farlo rettamente”.
L’opera d’arte evoca la profonda bellezza, ossia la pienezza e armonia interiore che viene emanata nel momento in cui viene espressa l’essenza più profonda.
La bellezza appare dunque “quando l’essenza dell’oggetto e l’essenza dell’uomo giungono a chiara espressione”. È cioè un allineamento tra espressione e intimità, non ha nulla a che vedere con una riduzione a qualche attrattiva dei sensi.
Ci sono correnti artistiche che enfatizzano determinati aspetti della realtà fino a portarne in luce quelli meno esteticamente piacevoli, e ci sono opere d’arte che affascinano anche solamente per la loro esteriorità: quello che distingue un’opera d’arte non è né la moda culturale, né il gusto estetico educato dalla teoria, bensì un profondo allineamento tra l’essenza dell’uomo e quella dell’opera: questo permette un richiamo che risveglia il nostro desiderio di essere esattamente ciò che siamo chiamati ad essere.
In questo senso le opere d’arte autentiche sono senza tempo.

IL RAPPORTO CON LA REALTÀ
L’opera d’arte non si trova nell’ambito della realtà ma in quello della rappresentazione. Attraverso il materiale reale di cui è composta l’opera possono essere rappresentate figure che si esprimono solo nello spettatore che le contempla.
Non che ciò che sia spirituale o relativo all’intelletto e ai sentimenti sia meno reale di un oggetto o di una pietra. Non reale, fatto di qualcos’altro, è però l’essenza stessa che viene a crearsi e manifestarsi nel momento in cui l’opera d’arte si compie e si svela.
“Il nocciolo peculiare è al di là della realtà empirica, nello spazio della rappresentazione. E lì deve inoltrarsi lo spettatore, indirizzato dai segni visibili. Egli deve rievocarlo, farlo risalire nella propria intima contemplazione, rigenerarlo con lo spirito e il cuore.
Ciò gli riesce nella misura in cui vi si impegna – e già per il fatto che occorre qui uno sforzo, un raccogliersi, penetrare, apprendere ed esercitarsi, tale esperienza è sconosciuta ai più che nell’opera d’arte vedono solo un’occupazione per ore oziose, un “piacere”, mentre rientra nello statuto delle cose elevate porre esigenze al fine di poter essere condivise”.
Ognuno coglie soltanto quello che è concesso ai suoi occhi, indipendentemente da quanto splendore venga presentato al suo sguardo.
Così,
“è bene che le cose importanti non siano retaggio di ciascuno – anche se bisogna precisare che questo ordinamento è determinato non da qualche privilegio di censo o posizione sociale, bensì dalla facoltà dell’occhio, dalla forza dello spirito o dalla vitalità del cuore.
Uno che sia progredito in tutte le possibilità della cultura può essere cieco per l’opera d’arte vera e propria; un altro che per le misere condizioni dell’esistenza non ha avuto né agio, né stimoli, può percepirla con la massima intensità”.
L’opera d’arte non attira nella lotta dell’esistenza quotidiana, ma permette di uscire dalla realtà e trasferirsi in una sfera irreale della rappresentazione.
Questo processo essenziale pone le basi per la pace interiore.

LA PROMESSA
“Lì le cose stanno nell’intimo del cuore che si è aperto e il cuore parla attraverso la molteplicità libera delle cose”.
Esprimendo il mondo della rappresentazione, l’arte permette di delineare in anticipo ciò che ancora non è presente.
L’obbligatorietà di risiedere in un mondo naturale sigillato in una chiusura materiale impone all’uomo di non ottenere da se stesso quello a cui mira, ossia raggiungere se stesso e con ciò il suo stesso futuro in cui è manifesta l’essenza delle cose.
“Di quest’essere nuovo parla l’arte – spesso senza sapere quel che dice”.
Da questo deriva il carattere religioso dell’opera d’arte, non necessariamente per effetto dei contenuti prettamente religiosi, ma per il suo
“rinvio al futuro, a quel futuro puro e semplice che non può più essere fondato a partire dal mondo. Ogni autentica opera d’arte è essenzialmente escatologica e proietta il mondo al di là, verso qualcosa che verrà”.
L’opera d’arte non va “gustata”, quello che l’arte richiede è di rivivere l’incontro dell’artista creatore con l’oggetto.
Guardando un’opera, nel momento in cui ne vengo conquistato, in me viene evocato il meglio che viene liberato dalle catene sotto cui quotidianamente l’esperienza l’impone; è così che si percepisce chi si è in realtà e dove un giorno si potrà essere.
“Detto più giustamente: un giorno, nel futuro definitivo, quando il mondo riceverà il suo nucleo più proprio, anche il mio essere più peculiare mi verrà incontro e sarà mio.”
